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Writer's pictureComunità CRFC

Che cosa c'é che non va in me?



Ci sono gesti che sembrano nascere dal nulla, come un riflesso dell’anima in cerca di sollievo: strappare un capello, pizzicare la pelle, mordere le unghie. Sono movimenti quasi automatici, che diventano parte di noi, ma che spesso lasciamo nell’ombra, nascosti agli occhi degli altri. Questi sono i Comportamenti Ripetitivi Focalizzati sul Corpo (CRFC), e per chi li vive, possono essere un rifugio e una prigione allo stesso tempo.


La vergogna come compagna silenziosa

Con loro arriva la vergogna, una compagna silenziosa e invisibile. La vergogna non si mostra in superficie, ma si insinua dentro, nel profondo. È quella sensazione che ci fa sentire "sbagliatə", come se ci fosse qualcosa in noi che non merita di essere visto, capito, amato. Non è solo un’emozione, ma un peso, un'eco che ci accompagna: “Cosa penseranno se scoprono?” o “Perché non riesco a fermarmi?”

A volte viene dalle parole non dette, dai silenzi in cui non ci siamo sentiti accettati. Altre volte arriva dai giudizi lanciati come frecce, dai commenti di chi non comprende. E poi c’è la nostra sensibilità, quella capacità di sentire tutto, troppo, che ci porta a credere di essere fragili, quando invece stiamo solo proteggendo ciò che è più prezioso.


Riconoscere e affrontare la vergogna

Riconoscere la vergogna è difficile. Si manifesta nel bisogno di nasconderci, di coprire i segni che raccontano la nostra storia. Si annida nei pensieri che ci trattengono: “Non sono abbastanza.” Ma sapere che c’è e darle un nome è il primo passo per lasciarla andare. Perché non definisce chi sei, né ti rende meno meritevole di rispetto e comprensione.

Un segno sulla pelle può essere letto come una "macchia" agli occhi degli altri, e non sempre il mondo risponde con comprensione. I commenti, anche quelli apparentemente innocenti, possono pesare come macigni: “Ma cosa hai fatto ai capelli?” o “Perché non smetti?”

Per chi li riceve, queste domande diventano un promemoria costante di ciò che già si fatica a gestire, alimentando un circolo vizioso di vergogna, ansia e senso di colpa.

Un genitore preoccupato che commenta il comportamento può trasmettere, anche involontariamente, il messaggio che qualcosa in noi non va. Gli sguardi di un estraneo, o il silenzio di un amico che non sa come reagire, possono essere interpretati come conferma della nostra "diversità". Con il tempo, questi piccoli momenti si sommano, creando un mosaico di sensazioni che ci porta a ritirarci, a nasconderci, a isolarci.


Un circolo difficile da spezzare

La vergogna non è un’emozione statica, è dinamica e spesso cresce su se stessa. Quando sentiamo il peso del giudizio, tendiamo a rifugiarci nel comportamento che conosciamo: strappare, pizzicare, mordere. Questo porta sollievo momentaneo, ma il sollievo lascia presto spazio a un senso di colpa ancora più profondo. “Non riesco a fermarmi, cosa c’è che non va in me? ”E così, la vergogna alimenta l’ansia, che a sua volta spinge a ripetere il comportamento, intrappolandoci in un ciclo che sembra impossibile da spezzare.

Per quanto dolorosa, la vergogna è anche una bussola che ci indica un bisogno: il bisogno di accettazione, di comprensione, di connessione. Riconoscerla non è facile, ma è il primo passo per spezzare il circolo vizioso. La vergogna non definisce chi siamo, è solo una parte della nostra esperienza, un’emozione che merita spazio per essere compresa, non soffocata.


La vergogna non definisce chi sei

È un’emozione che può sembrare ingombrante e difficile da affrontare, ma non è una condanna, né qualcosa che deve accompagnarti per sempre. Con il tempo, la consapevolezza e il supporto giusto, è possibile imparare a convivere con i CRFC in modo più sereno, costruendo un rapporto più gentile e comprensivo con te stessə.

Un’esperienza personale potrebbe illustrare meglio questo punto.


Ricordi un momento in cui hai sentito il peso della vergogna legato al tuo comportamento?

Cosa hai fatto per affrontarlo?


Ogni passo, per quanto piccolo, conta. Ogni momento di consapevolezza, ogni pensiero gentile che scegli di riservarti, è un gesto di coraggio verso una vita più autentica. Non c’è una soluzione immediata, ma c’è sempre un modo per iniziare.


Una call-to-action per te

Se ti ritrovi in queste parole, prova a fare un primo passo: parlane con qualcuno di fiducia, partecipa a un gruppo di supporto o scrivi su un diario i tuoi pensieri e le tue emozioni. Un passo alla volta, puoi liberarti dal peso del giudizio e ritrovare una connessione più autentica con chi sei davvero. Sei abbastanza, proprio così come sei. E non sei solə in questo cammino.


 

Editor: Serena, psicoterapeuta e volontaria nella nostra comunità CRFC, ci invita in un viaggio intimo nel cuore dei comportamenti ripetitivi focalizzati sul corpo (CRFC), un territorio che conosce profondamente sia professionalmente sia personalmente. Vivendo in Italia e combattendo lei stessa la tricotillomania, Serena porta una prospettiva ricca e poliedrica, tessendo insieme la sua esperienza personale con la sua pratica terapeutica.

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